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La dinamica degli occupanti in impatti frontali

In caso di incidente, gli occupanti possono essere sottoposti ad elevate sollecitazioni (accelerazioni negative o decelerazioni) durante il loro movimento inerziale ed i conseguenti impatti contro le strutture interne dell’abitacolo. Gli elementi di sicurezza passiva, quali le cinture di sicurezza, i pretensionatori, i limitatori di carico, gli airbag, svolgono un ruolo protettivo fondamentale poiché distribuiscono la sollecitazione in un lasso temporale più ampio facendo diminuire i picchi di accelerazione dei singoli segmenti corporei interessati. Nel corso degli ultimi decenni sono stati introdotti numerosi indici, sia di tipo qualitativo che quantitativo, per la valutazione del rischio lesivo di un determinato segmento corporeo e per l’attribuzione di un valore di soglia da non oltrepassare per la salvaguardia della vita umana. Lo scopo di questo articolo è innanzitutto quello di introdurre brevemente i meccanismi che regolano i crash-test frontali contro ostacoli fissi e di descrivere le conseguenti evoluzioni degli occupanti, ovvero dei manichini, all’interno dell’abitacolo. I manichini utilizzati nei crash test dispongono di numerosi sensori che registrano i valori istantanei delle decelerazioni in dipendenza con il tempo e che consentono di stabilire il grado di affidabilità dei sistemi di sicurezza dei veicoli (ad es.: test Euroncap o NHTSA). Si presenteranno quindi gli indici qualitativo-statistici di lesione (AIS, MAIS, IIS), utilizzati principalmente in ambito ospedaliero o medico-legale, per poi analizzare i distretti corporei maggiormente traumatizzati negli impatti stradali, sia attraverso una loro caratterizzazione anatomo-funzionale sia definendo i singoli indici quantitativi di sollecitazione (HIC, NIC, ecc.) e le corrispondenti soglie di tollerabilità.
 
Gli urti frontali sono eventi estremamente pericolosi e rappresentano il 50-55 % dei sinistri (veicolo contro veicolo o veicolo contro ostacolo fisso) in cui si verificano lesioni gravi o mortali. L’impatto contro barriera rigida perpendicolare (pieno o con off-set) è in assoluto la configurazione più impegnativa per i sistemi di ritenuta (cinture di sicurezza ed airbag) in quanto producono sul veicolo il massimo livello di decelerazione possibile relativamente alla variazione di velocità considerata.
Nei crash test Euroncap ad esempio, l’autovettura viene lanciata alla velocità standard di 64 km/h contro una parete per il 40% del proprio frontale. Tale parete è composta da una barriera d'alluminio deformabile, che simula la deformazione del frontale di un'altra auto, larga circa un metro e profonda 54 cm. A bordo sono presenti due manichini Hybrid III 50percentile che rappresentano un adulto di taglia media, uno al volante e l'altro al suo fianco. Le rilevazioni su testa, collo, torace, femori, ginocchia e caviglie andranno a definire il punteggio finale del test.
 
Fig. 1.
 
L’obiettivo dei sistemi di ritenuta in urti frontale è quello di vincolare il moto dell’occupante al moto del veicolo utilizzando al meglio gli spazi di deformazione disponibili, evitando urti rigidi contro l’interno dell’abitacolo e quindi limitando al massimo le decelerazioni, le forze, gli schiacciamenti che i diversi segmenti corporei del corpo umano devono subire.
Negli istanti immediatamente successivi al primo contatto tra il paraurti dell’autovettura ed il manichino, quest’ultimo scivola inerzialmente in avanti con la medesima velocità che il veicolo possedeva al momento dell’impatto e con accelerazione nulla (moto rettilineo uniforme). Dopo circa 70 ms, l’occupante è trattenuto dalla cintura di sicurezza che spinge il corpo all’indietro, verso il sedile e, a circa 90 ms, la testa si muove rapidamente in avanti verso il volante (Fig. 2).
 
Fig. 2.
 
Tuttavia, la cintura di sicurezza vincola al sedile le parti superiori del busto e degli arti superiori, mentre non previene il movimento in avanti del complesso cranio-cervicale. I rapidi movimenti possono causare lacerazioni di muscoli e legamenti e, in casi severi, lesioni alla colonna vertebrale. In caso di impatti contro gli elementi rigidi interni all’abitacolo, i segmenti corporei subiscono una decelerazione il cui modulo, dovuto principalmente alla componente trasversale, in pochi millisecondi raggiunge un massimo per poi decrescere fino a valori prossimi alla zero.
Di seguito è riportato il grafico dell’accelerazione (in modulo) della testa di un manichino cinturato all’interno di un veicolo coinvolto in un crash test frontale contro barriera a 56 km/h (Test NHTSA). Si nota come il picco di accelerazione abbia un valore prossimo a 70 g e la durata della prima fase d’urto sia di circa 70 ms.
 
Fig. 3.
 
Dall’analisi delle curve di decelerazione del veicolo si è in grado di valutare come queste sollecitazioni si trasferiscono sugli occupanti. Dal confronto tra i livelli di accelerazione ed i limiti imposti dalla letteratura si evince come molti urti potrebbero garantire la sopravvivenza se gli occupanti subissero le medesime decelerazioni del veicolo. Sfortunatamente, è impossibile raggiungere tali obiettivi per un occupante sprovvisto di dispositivi di protezione e molto difficile per un occupante dotato di tutti i sistemi di sicurezza. Esiste una relazione generale tra la variazione di velocità di un veicolo durante l’urto e la severità dei danni. Gli incidenti mortali possono anche verificarsi per bassi valori di delta V tuttavia, per variazioni di velocità superiori a 80 km/h un urto è virtualmente non “sopravvivibile” per il fatto che le accelerazioni che incombono sugli occupanti superano la soglia di lesività mortali degli organi vitali.
Immaginiamo che un’autovettura percorra una strada agli 80 km/h. Il suo conducente agisce quindi sull'impianto frenante applicando una pressione sul pedale per un tempo sufficiente ad ottenere una decelerazione costante, fino all’arresto del veicolo. Per ottenere questo risultato, freni e pneumatici compiono un "lavoro" che è di valore uguale (ma di segno opposto) rispetto all'energia cinetica del veicolo nel momento iniziale (1/2mv2). Si precisa che la frenata normale di un'auto su strada corrisponde ad una decelerazione di circa 7-8 ms-2, inferiore ad 1g, mentre quella di un'auto da corsa è pari a circa 50 ms-2 o 5g. 
Immaginiamo ora una medesima vettura che impatti alla velocità di 80 km/h contro una parete indeformabile (urto completamente anelastico). In questo caso, la forza F (costituita dalla resistenza opposta dall'ostacolo fisso) sarà applicata solo durante il brevissimo tempo (meno di 1/10 di secondo) in cui si esaurisce la deformazione della parte anteriore del veicolo. Nella brusca decelerazione, tutta l'energia cinetica sarà stata azzerata dal "lavoro" svolto dalla deformazione delle lamiere della parte anteriore del veicolo (circa uguale a 1/2mv^2), che quindi si troverà fermo. 
L'area sottesa dalle due curve di decelerazione (in modulo) è comunque la stessa poiché la velocità che è stata persa dai due veicoli è sempre pari a 80 km/h. Naturalmente, la rapidissima decelerazione dell’abitacolo in caso di urto si riflette sugli occupanti. Come già precisato, essi continuano inerzialmente a procedere in avanti con la stessa velocità del veicolo prima dell'urto.
 
  
Fig. 4.
 
La società tedesca ADAC ha utilizzato una macchina di classe media (Renault Laguna), i cui passeggeri risultano ben protetti durante il crash-test Euroncap a 64 km/h, per effettuare un impatto contro barriera rigida a 80 km/h (Fig. 5). I risultati mostrano che gli occupanti di veicoli classificati come “molto sicuri”, in realtà, non sono invulnerabili in presenza di velocità di impatto prossime agli 80 km/h. L’energia cinetica infatti, che viene assorbita dal veicolo in deformazione, ha una dipendenza quadratica dalla velocità di impatto e pertanto, al raddoppiare di quest’ultimo valore, quadruplica l’energia. Di conseguenza, sono bastati solo 14 km/h in più (+25% di velocità) per ottenere uno schianto più violento del 56% in termini di energia distruttiva. L’ADAC ha dimostrato che, superata una certa soglia di velocità di impatto, l’entità dei carichi e la diminuzione dello spazio vitale all’interno dell’abitacolo non consentono di proteggere gli occupanti da sollecitazioni gravemente lesive. Nel dettaglio, una volta deformato l’intero frontale, le strutture portanti dell’abitacolo iniziano a cedere in corrispondenza del pianale e dei montanti, la sollecitazione si trasferisce sulle strutture interne e, di conseguenza, sugli occupanti. Il volante si sposta verso l'interno e va ad impattare, nonostante l’apertura dell’airbag, sul torace del conducente i cui arti inferiori urtano contro la colonna dello sterzo con notevoli conseguenze lesive. Per quanto riguarda il passeggero anteriore, la sua testa arriva ad impattare contro la plancia e le ginocchia contro il cassettino portaoggetti.
Nel 2005 studiosi svedesi (Pipkorn et at., “Car driver protection at frontal impacts up to 80 km/h”) hanno effettuato prove di crash di veicolo contro barriera rigida alla velocità di 80 km/h concludendo che occupanti, per impatti di tale intensità, hanno altissime possibilità di subire gravi lesioni
 
Fig. 5.
 
Nei prossimi giorni sarà inserito un nuovo articolo che descrive i criteri lesivi negli incidenti stradali, le lesioni traumatiche al rachide cervicale, al torace, agli arti inferiori degli occupanti e i relativi indici di lesività.
 
 
BIBLIOGRAFIA:
 
Pipkorn et al., “Car driver protection at frontal impacts up to 80 km/h”, 2005, Autoliv Research
-Nahum et al., “Accidental Injury, Biomechanics and prevention”, 2002, Springer
-Henn, “Crash Tests and the Head Injury Criterion”, 1998, Teaching Matemating and Its
Applications
- Teng et al., “Analysis of dynamic response of vehicle occupant in frontal crash using
multibody dynamics method, 2008, Mathematical and computer modelling
-Piano, “La sicurezza passiva degli autoveicoli”, 2009, Hoepli
-Bigi, “La sicurezza passiva dell’autoveicolo”, 2004, EGAF

 

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